DI MICHELE SUMAN E MICHELA POLI *
Con i membri della consulta della Cei è cominciato un cammino che ci sta aiutando ad esplorare meglio la realtà della pastorale della famiglia in Italia: Assisi 2022 è stata una tappa importante del cammino, che desideriamo con questo articolo provare a riassumervi.
Il contesto: gli anni 2020-2022 della pandemia hanno messo a dura prova la famiglia; minimo storico delle nascite (-3.8%), massimo storico di richieste di separazioni (+ 60%), un grande numero di tentativi di suicidio da parte di adolescenti (+30%) e di violenze in ambito familiare (+70%, femminicidi +20%).
Il matrimonio di questo mondo “post-moderno” è visto come un sacramento non attrattivo: la cultura del provvisorio prevale contro l’audacia di un progetto di vita, la fragilità dei legami agisce contro il coraggio e la fatica di costruire un cammino insieme, l’emotività si oppone al discernimento ed il consumismo egolatrico e l’individualismo avaro vanno contro la fecondità generativa; tante forme di falsa spiritualità senza vero incontro con Dio stanno dominando nel mercato religioso attuale.
La pastorale familiare: dobbiamo ritornare sotto la Croce, dove nasce la Chiesa; entrare nella passione, vivere il dolore, tutto questo ci permette di guardare al mondo ed alla storia in modo diverso. Ed è qui che nel matrimonio l’amore diventa volontà, impegno, accoglienza e «spazio pre-disposto/preparato per l’altro», permettendo proprio di cambiare il mondo e la storia: l’allenamento a costruire e predisporre questo “spazio” è l’amore ovvero l’accoglienza dell’altro con le sue ferite, la sua storia e i suoi legami, le sue passioni, i suoi valori, i suoi limiti e i suoi pregi.
Gli sposi sono il richiamo permanente della Chiesa, all’interno della complessità del tempo loro concesso, di ciò che è accaduto sotto la croce (Amoris laetitia): ciascun coniuge offre sé stesso all’altro sino alla fine, i coniugi si incarnano uno nell’altro come Dio si è incarnato in Gesù Cristo.
Sfide: puntare sulla pastorale integrata, elemento che è emerso trasversalmente a tutti i gruppi di lavoro. La complessità della realtà in cui viviamo ci spinge ad attrezzarci (e non solo a motivarci) per dare risposte non semplicistiche. Sempre di più abbiamo bisogno di scoprirci una Chiesa che vive “a corpo” e dobbiamo dotarci di strumenti per mettere in rete e in sinergia le varie competenze specifiche.
Affrontare con i giovani la dimensione sessuale: «Ciò che tocca il mio corpo tocca anche la mia anima» ovvero il corpo è un linguaggio (basta pensare al teatro, magistrale scenario dove si capisce quanto il corpo parli di per sé) e, senza falsi moralismi, va fatta ritrovare ai giovani ed alle persone in generale la bellezza del “dualismo corpo-anima” e non la loro totale scissione in due comparti separati ed indipendenti. In questo senso anche un “no spiegato” ai giovani adolescenti sui limiti a determinati comportamenti è fondamentale nella società odierna al fine di crescere adulti consapevoli: il libertinismo assoluto alla lunga è devastante per la società stessa.
Valorizzare il matrimonio civile, che potrebbe in questo senso essere visto anche come una componente, una tappa, di un itinerario di catecumenato allargato, consentendo prima alla coppia di assumere una responsabilizzazione sociale come primo passo verso obbiettivi più alti.
Va del resto sottolineato che il bisogno principale da cui è scaturito il convegno di Assisi (ed il percorso che ne conseguirà) è quello di “ricostruire una comunità” partendo dai “fidanzati di oggi”: conviventi, già sposati civilmente, con figli, di convinzioni e credo religioso diversi all’origine, di culture e tradizioni diverse, etc. Loro vanno visti come la “vera opportunità del cambiamento”.
Approfondire il rapporto con le altre religioni, nella gratitudine per la testimonianza che troviamo anche nelle altre Chiese, e nella consapevolezza che in ogni singolo uomo e donna esiste una dimensione trascendente: ogni uomo e donna hanno nel loro cuore uno spazio “solo per Dio”. Il rapporto con le altre religioni è fondamentale quanto complesso: assistiamo ancora oggi ad un’“ingenuità occidentale” nel pensare che mentalità profondamente diverse possano facilmente fondersi tra loro. In questo senso il matrimonio interreligioso può essere estremamente profetico, ma proprio per questo molto più esigente di quello cristiano tal quale: per portarlo a buon frutto i due coniugi devono essere spinti da un amore di Dio veramente grande.
Lo Spirito Santo ha dato almeno un carisma ad ognuno di noi (chi sa stare vicino ai giovani, chi sa accogliere, chi sa ascoltare, etc.): si tratta di valorizzarli vicendevolmente. Ecco perché dovremmo parlare più che di “pastorale integrata” di “pastorale integrante” o, meglio ancora, di “pastorale intrigante”!
* co-direttori dell’Ufficio diocesano per la pastorale della famiglia